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Quello che manca è il silenzio

Nell'estetica giapponese tradizionale Wabi-sabi è una visione del mondo incentrata sull'accettazione della transitorietà e dell'imperfezione, in cui la bellezza è appunto imperfetta, impermanente e incompleta. Wabi si riferisce all'eleganza discreta, non ostentata e semplice. Sabi rimanda alla bellezza che solo il passare del tempo può donare. 

I monumenti, le rovine hanno a che fare con il passare del tempo, permettono all'”uomo nuovo” di inserirsi nel passato per meritarsi un futuro.
Ma come uomini, pensiamo di esserci meritati un futuro?
In un mondo che teorizza le guerre “intelligenti” e gli obiettivi “mirati”, la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni, 
dalle spiegazioni, dalle mercificazioni. Oggi si pre-dispone un ordine in modo che le persone debbano capire la storia e il valore delle rovine e dei monumenti. Ciò che non è segnalato può essere ignorato, distrutto. 
I siti archeologici vengono cintati, sbarrati con cancelli, i viottoli asfaltati per permettere alle folle di visitatori di incanalarsi in una sola direzione. 
Facilitare” la comprensione dei luoghi li trasforma in una merce da digerire. I cartelli del turismo dicono dove siamo, qual è lo scopo del nostro viaggio. All'interno di questo meccanismo mercificato di apprendimento, non viene chiesto di vedere, ma viene chiesto di guardare come ciechi che guardano ma non vedono. Coloro che contemplano oggi le rovine o i monumenti,non avranno mai lo sguardo di chi li vide per la prima volta e la percezione di questo scarto è la realtà del tempo cancellata in un batter d’occhio dall’erudizione e dal restauro, come dallo spettacolo della mercificazione che scambia il contenuto con il contenitore.

Dice George Perec: ”Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo.
I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà; niente somiglierà più a quel che era.” 


Quello che manca è il silenzio
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